Quando nelle mie mani irrigiditre
terrò serrato al petto il Crocifisso,
e gli occhi, fra le palpebre avvizzite,
immobili staranno a un punto fisso,
e il sudor freddo di mie membra smorte
t'annunzierà che son vicino a morte,
in quell'ora tristissima e suprema
deponimi sul funebre lenzuolo
di vaga Rosa un fior, come l'emblema
d'amor che vince la sventura e il duolo,
e pria che mi si meni al Camposanto,
bacia la Rosa e aspergila di pianto.
Non voglio né la Thea, né la Banksiana,
ma quella che rammenta il nostro amore;
pensa che fu una Rosa Noisettiana
che ti donai quando t'aspersi il core,
ed è quella Rosa, o Gilda cara,
che deve far men tetra la mia bara.
Poi quando la campana della sera
coi tocchi lenti per melanconia
ti chiamerà sul labbro la preghiera
ribacia ancor la Rosellina mia,
e vedrai, col pensiero, a te da lato
aleggiare il mio spirito innamorato.
Se un giorno, avvolta in lugubre mantello,
il colle a San Miniato ascenderai,
e lacrimosa sul deserto avello
con pia man quella Rosa deporrai,
vedrai il mio spirto trarre in ciel quel fiore
come il ricordo d'un eterno amore.
Pietro Gori
COMMENTI SULL' ARTICOLO