Amanita phalloides
L'amanita phalloides si presenta sotto più forme ma vi sono delle caratteristiche che permettono di contraddistinguerla da altri funghi eduli. Il cappello ha la forma di una cupola con un colore che va dal biancastro nella zona centrale al giallognolo verso i margini. Le lamelle e la carne sono fitte e bianche. Il gambo non ha una struttura omogenea ma si allarga man mano che scende verso il basso; esso è attraversato nel senso della lunghezza da venature tendenti al giallo. Il volvo, ossia un velo localizzato alla base del gambo, è biancastro e sempre presente. L'odore dell'amanita è molto lieve e ricorda vagamente quello delle rose; talvolta è del tutto assente. Quando è guasta, possiede invece un odore piuttosto forte e nauseante, molto simile all'ammoniaca. È possibile ritrovarle nei boschi di conifere, specialmente nei periodi autunnali.
La tossicità dell'amanita phalloides è dovuta alla presenza di due sostanze chimiche quali le amanitine e le falloidine. Le amanitine bloccano i processi di sintesi delle proteine e portano a morte cellulare. Le falloidine invece causano l'interruzione della trascrizione del DNA e provocano danni epatici e disturbi gastrointestinali con conseguente disidratazione. Entrambe sono delle tossine con una struttura ciclica molto simile tra di loro che agiscono in collaborazione nello stabilire tutti i sintomi della sindrome falloidea da avvelenamento prodotta dall'ingestione di questa specie di fungo. Si tratta di sostanze resistenti alle alte temperature; pertanto, la cottura non ne altera le proprietà tossiche. Allo stesso modo, se un'amanita phalloides venisse a contatto con altri funghi commestibili, è necessario liberarsi dell'intero raccolto, in quanto le spore velenose si diffondono con molta facilità.
La sindrome falloidea da avvelenamento insorge in seguito all'ingestione di ridotti frammenti di Amanita Phalloides. Pochissimi grammi sono in grado di uccidere un uomo sano e adulto. I primi sintomi cominciano ad insorgere dopo circa sei ore dall'ingestione. La prima fase, quella di latenza, è l'intervallo di tempo in cui le tossine contenute nel fungo restano nell'organismo e iniziano ad agire contro le cellule, senza dare dei segni visibili. Subito dopo iniziano i disturbi gastrointestinali con vomito, diarrea, sudorazione abbondante e dolori addominali, i quali portano nella stragrande maggioranza dei casi a disidratazione. Dopo circa 24 ore, si manifestano una riduzione della glicemia e un aumento dei valori delle transaminasi, indicatori di grave danno epatico. Se non si interviene in tempo, segue la morte per ipoglicemia, insufficienza renale e respiratoria.
Ai fini del trattamento, è necessario che la sindrome falloidea venga individuata in tempo. La terapia è tanto più efficace quanto più veloce essa viene istituita. Il primo intervento, da instaurare nelle fasi iniziali dell'avvelenamento, consiste nella lavanda gastrica che permette di eliminare le tossine rimaste nello stomaco e nell'intestino. E' necessario inoltre provvedere all'idratazione, limitare il vomito e favorire la diuresi per eliminare le molecole velenose. La perdita di liquidi causano ipotensione e aumento della frequanza cardiaca che possono concludersi con shock e morte. La somministrazione di carbone attivo, ottenuto dalla lavorazione di alcune specialità di legname, è utile nell'assorbire le sostanze tossiche e nel fermare la diarrea, grazie ai suoi effetti disinfettanti a livello intestinale. Nei casi più gravi, il paziente deve essere sottoposto a trapianto di fegato e dialisi.
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E’ uno dei funghi più velenosi esistenti in natura. Non è solo pericoloso, è anche mortale. Il suo veleno è in grado d
visita : amanita falloide
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