Metcalfa
E' un insetto Omottero della famiglia dei Flatidi originario del Nord America, segnalato per la prima volta in Italia (Veneto) nel 1979. La sua rapida e intensa diffusione di questi ultimi anni è dovuta alla capacità dello stesso di attaccare numerosissime specie vegetali (erbacee, arbustive e arboree, di interesse agrario, ornamentale e forestale, oltre a numerose erbacee e arbustive spontanee) e alla limitata presenza di antagonisti naturali. La Metcalfa pruinosa, che si nutre di linfa assunta dalle piante ospiti tramite l’apparato boccale pungente-succhiante, compie una sola generazione annua e sverna come uovo deposto fra le screpolature della corteccia delle piante ospiti.
Nel nord Italia la presenza di questo insetto si riscontra sulla vegetazione generalmente dalla metà di maggio fino ad autunno avanzato.
La schiusura delle uova inizia verso la prima metà di maggio e si protrae per oltre un mese, gli stadi giovanili dell’insetto (neanidi e ninfe) sono biancastri; appena sgusciate dall’uovo le neanidi devono, per nutrirsi, recarsi su giovani germogli o sulla pagina inferiore delle foglie, dove iniziano a produrre abbondante cera biancastra e melata. Al minimo disturbo neanidi e ninfe sono in grado di spostarsi.
Gli adulti iniziano a comparire ai primi di luglio, hanno una lunghezza di 7-8 mm e ali grigie, producono melata, sono dotati di grande mobilità e sui giovani fusti e sui rami si dispongono in lunghi allineamenti. Dopo l’accoppiamento e la deposizione delle uova, i primi freddi eliminano completamente la popolazione di Metcalfa.
I danni sono costituiti da sottrazione di linfa, produzione di cera (Fig. 2a) e, soprattutto, di melata (figg. 2b - 2c) in seguito all’attività di giovani e adulti. Nell’ambito del verde pubblico, la melata, cadendo dalle chiome degli alberi, sporca i manufatti sottostanti e crea disagio ai cittadini. In agricoltura, depositandosi sulle foglie e sui frutti, favorisce lo sviluppo di fumaggini che limitano l’efficienza fotosintetica delle piante, causano filloptosi anticipate e soprattutto deprezzano le parti vegetali destinate al consumo. Nel florovivaismo le fumaggini e la cera prodotta dagli stadi giovanili, persistendo sulla vegetazione, danneggiano esteticamente le produzioni e aggravano i costi per la difesa delle colture. La produzione di melata è utile per gli apicoltori, anche se il miele che ne deriva è di scarsa qualità.
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La lotta chimica è difficile e non risolutiva nelle colture agrarie, per il fatto che le nascite si protraggono per oltre un mese, per la protezione della cera, la mobilità degli adulti e la loro capacità di trasferirsi su molte specie vegetali. Non è comunque sempre agevole a causa della polifagia dell’insetto, della mobilità degli adulti e della protezione che la cera, prodotta dagli stadi giovanili, offre contro alcuni fitofarmaci. Inoltre se le colture da proteggere confinano con zone in cui la specie è presente, sono probabili reinfestazioni degli adulti; gli interventi con insetticidi possono essere preceduti da trattamenti con soluzioni a base di nitrato potassico (saponi), in grado di dilavare dalla vegetazione la melata, la cera e, temporaneamente, anche gli stadi giovanili (Greatti e Girolami, 1994). Gli insetticidi recherebbero inoltre un notevole danno agli antagonisti naturali e agli insetti impollinatori attirati dalla melata. In ambiente urbano è comunque sconsigliabile la lotta chimica per motivi di sicurezza.
Il controllo biologico operato nei nostri ambienti da insetti utili (predatori e parassitoidi) e da uccelli insettivori è risultato del tutto insufficiente. Nel nostro Paese l’azione di controllo da parte di predatori generici (miridi, antocoridi, crisopidi, coccinellidi, uccelli passeriformi, ecc.) non è in grado di contenere ovunque la diffusione della Metcalfa.
ell’areale d’origine, invece, la Metcalfa pruinosa saltuariamente rappresenta un problema, in quanto diversi entomofagi riescono efficacemente a controllarla: fra questi particolarmente interessante risulta l’attività dell’imenottero driinide Neodryinus typhlocybae (Ashmead), predatore e parassitoide del flatide (Girolami e Camporese, 1994; Conte, 1994; Rossi, 1995).
Neodryinus typhlocibae
Il Neodryinus typhlocibae è stato introdotto nel nostro Paese nell’ambito di programmi di ricerca degli Istituti di Entomologia dell'Università di Padova e di Udine a partire dal 1987, utilizzando bozzoli contenenti larve svernanti; il parassitoide, di presenza relativamente scarsa nei Paesi d’origine, è stato cercato nel nord-est degli Stati Uniti e solo in una località del Connecticut è stato trovato in quantità elevate. Negli anni successivi questo nucleo iniziale si è riprodotto con successo sia a Padova sia in alcune località del Veneto e del Friuli, pertanto la specie è in grado di acclimatarsi con facilità nei nuovi areali europei (Girolami e Camporese, 1994). Gli adulti di entrambi i sessi sono alati e di colore nero; le ali della femmina presentano delle fasce chiare.
Il dimorfismo sessuale è pronunciato: le femmine sono più grandi dei maschi e il loro primo paio di zampe è provvisto di chele con cui afferrano le giovani metcalfe sia per predarle che per parassitizzarle; le chele, che derivano dall’ultimo articolo del tarso e da un’unghia falciforme del prestarso, sono una caratteristica delle femmine di quasi tutte le specie appartenenti alla famiglia dei driinidi (Viggiani, 1977). I maschi adulti sono lunghi 3 mm, le femmine 5-5 mm; i primi hanno tre ocelli allineati, le seconde disposti a triangolo. All’aperto, entro gabbie, il maschio vive 2-3 giorni (in laboratorio anche 7-10 giorni), la femmina sopravvive in media per tre settimane (Conte, 1994) e spesso può raggiungere il mese (in laboratorio oltre i 40 giorni). Il maschio è glicifago, la femmina si alimenta, oltre che di melata, di stadi giovanili di Metcalfa: la vittima viene atterrata con il primo paio di zampe, bloccata posteriormente per mezzo della terebra e, infine, divorata. Le femmine adulte del driinide predano gli stadi giovanili della Metcalfa oppure depongono un uovo su individui di III, IV, V età.
La larva che ne deriva parassitizza l’ospite e risulta ben visibile esternamente apparendo come un bubbone (v. immagine sopra), la larva che vive a spese delle ninfe (IV e V età) sporge a lato di uno degli abbozzi alari, sotto il quale era stato deposto l’uovo. Quando la larva ha raggiunto l’ultimo stadio di sviluppo svuota rapidamente l’ospite e costruisce sotto i suoi resti un bozzolo all’interno del quale compie la metamorfosi( fig. 4). Il bozzolo è generalmente tessuto sulla pagina inferiore delle foglie, ma lo si può ritrovare anche su fusti erbacei e, più raramente, su frutti.
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