Tartufi
Tra i funghi più famosi, più costosi e più ricercati in Italia troviamo sicuramente al primo posto i tartufi. Adorato da chi ama mangiare prelibatezze, oggetto del desiderio di cuochi in erba, di professionisti o di semplici appassionati, sogno nascosto di ogni ricercatore di funghi, il tartufo ha con gli anni creato un vero e proprio indotto economico. Fiore all’occhiello di comuni come Norcia, Spoleto (famosi per il tartufo nero) ed Alba (tartufo bianco) che devono la loro fama a livello internazionale a questo “tubero”, è diventato con gli anni un simbolo ed un prodotto che ha creato molto lavoro nel campo del commercio, dell’agricoltura e del turismo. I tartufi, di diversi tipi e qualità, sono diffusi in una vasta area di clima temperato del sud Europa ( Portogallo, Spagna, bassa Francia fino alla Slovenia) ma vediamo meglio le principali tipologie di questi funghi.
I Tartufi si dividono in due famiglie principali: le Tuberaceae, della quale fanno parte tutte le specie utilizzate nel campo dell’alimentazione,e le Terfeziaceae. Sono funghi ipogei, cioè che crescono sotto il terreno, e fanno simbiosi micorrizica con determinate piante. I due tipi di tartufo più famosi sono senza dubbio il tartufo nero (Tuber melansporum) e il tartufo bianco (Tuber magnatum pico).
Il tartufo nero ha una forma sferica, globosa spesso irregolare ed è ricoperto di verruche. La gleba (la carne dei tartufi, l’interno) è soda, prima chiara e poi bluastra. Il profumo è molto forte e aromatico (molte persone riconoscono nell’odore del tartufo un qualcosa di simile all’odore del metano). Molto utilizzato in cucina e nel campo alimentare, risulta migliore cotto. Sicuramente meno costoso e pregiato del tartufo bianco, lo troviamo nelle zone collinari e basso montane sotto alberi quali nocciolo, rovere e farnia in zone aperte, soleggiate. Il tartufo nero, a differenza del bianco è coltivabile e nelle zone intorno a dove cresce scarseggia la vegetazione per azione del micelio.
Il tartufo bianco invece è considerato il tartufo per antonomasia e cresce solamente in terreni particolari con condizioni particolari: suolo soffice, umido, ricco di calcio e con un buon circolo di aria. Ribattezzato come Tartufo d’Alba, cresce molto bene in diverse zone del Piemonte (Monferrato e Langhe in particolare) ma lo si può trovare anche nel sud della Francia e nell’Italia centrale. Anch’esso è globoso, ha la superficie esterna liscia e una gleba inconfondibile: bianca e giallo-grigia con venature bianche. Gli alberi sotto i quali si può trovare il tartufo bianco sono le querce, i tigli, i pioppi e i salici. In cucina viene mangiato solitamente crudo, lamellato e con piatti semplici che esaltino il sapore, unico e ottimo, del tartufo.
Altri tartufi commestibili
Oltre ai tartufi citati ne esistono altri meno famosi ma ugualmente commestibili e apprezzabili come il tartufo bianchetto (Tuber borchii), il tartufo estivo (Tuber aestivum), il tartufo nero invernale (Tuber brumale), il tartufo nero liscio (Tuber macrosporum) e il tartufo di Bagnoli (Tuber mesentericum).
Nel lungo elenco dei tartufi neri dobbiamo citare anche le tipologie non commestibili precisando che non è tanto la tossicità di questi tuberi quanto il forte cattivo odore che emanano a renderli sgradevoli (unito alla loro durezza). Tuber rufum, Tuber foetidum, Tuber excavatum e Tuber ferrugineum sono le specie principali che sconsigliamo di raccogliere.
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La raccolta, che a dire il vero è una ricerca più che una raccolta, avviene da Dicembre a Marzo per il tartufo nero e da settembre a dicembre per il tartufo bianco e avviene sfruttando la collaborazione di cani. Le razze più indicate sono il Lagotto romagnolo, il Border Collie e lo Spinone italiano anche se l’odore del tartufo è talmente forte che qualsiasi tipo di cane, se correttamente addestrato, è in grado di diventare un buon cane da tartufo. L’operazione di raccolta non deve essere svolta con vanghe, zappe e altri ingombranti attrezzi: rovinereste il terreno e le ife sotterranee del fungo. Quindi basta armarsi di un semplice e piccolo zappino col quale scosteremo la terra presente sopra il micelio cercando di non rovinare radici della pianta e tartufo. Un consiglio: se non avete un cane più che addestrato fermatelo in tempo dopo che ha individuato il fungo, eviterete così un grosso dispiacere. E’ molto importante sapere che le spore dei tartufi restano vitali per un periodo che supera i due anni e quindi può essere una buona idea riportare i resti dei tartufi utilizzati nel luogo di raccolta o in altre zone da tartufo. Così facendo aumenterete la presenza di spore e quindi le probabilità di crescita dei funghi. Non dimenticate di gettare una manciata di terriccio sopra gli scarti abbandonati.
Un tartufo record
Un tartufo davvero enorme, un tartufo bianco d’alba di 2,5 kg , fu trovato da Giacomo Morra ad Alba nel 1954. Il famoso tartufaio piemontese donò l’incredibile esemplare all’allora presidente americano Truman.
Il tartufo nero può essere coltivato in speciali impianti detti appunto di tartuficoltura che si basano sull’impianto artificiale di piantine micorizzate.
Progettazione dell’impianto
Prima di fare qualsiasi piccolo investimento verificate l’idoneità del suolo che deve avere indicativamente: poco scheletro, tessitura fine, pH tra 7 e 8 e sostanza organica intorno al 3-5%. Il terreno deve essere fresco, poco evoluto e senza ristagni d’acqua. Tendenzialmente sono migliori i terreni calcarei e alcalini. Una volta verificato se il vostro terreno è idoneo potete procedere con la preparazione dell’impianto da effettuare preferibilmente nel periodo estivo. Per conoscere la composizione chimico-fisica del terreno potete rivolgervi ad un laboratorio specializzato. Comunque nel caso il vostro terreno non sia “ideale” non disperatevi: potrete sempre provare a coltivare una varietà meno pregiata di tartufo. Infatti varietà meno pregiate hanno anche minori esigenze e una maggiore adattabilità. Come prima cosa fate un bel decespugliamento dell’area e una lavorazione di aratura piuttosto profonda (30-40 cm). I più pigri possono in alternativa fare delle buche di 40x40x40 nel punto in cui si ha intenzione di mettere le piante. Una cosa molto importante è come sempre pensare prima di agire: nel progettare il sesto d’impianto fate una scelta funzionale al tipo di attrezzi che pensate di usare. Per impianti di una certa dimensione risulterà più comodo lasciare più spazio tra le file per poter passare con gli automezzi. Le piantine vanno poi protette con shelter (coperture perimetrali in policarbonato) per evitare i danni di gelo, di gelate anticipate e di animali selvatici. La zona intorno al colletto della pianta va mantenuta libera da erbe infestanti per favorire la crescita della piantina. A questo proposito, se non volete fare interventi saltuari di decespugliamento vi conviene fare una pacciamatura con del materiale adatto come ad esempio le scaglie di corteccia. In fase di preparazione pensate anche alle modalità di irrigazione della vostra coltivazione. L’irrigazione a goccia (tubi a bassa pressione con attaccati dei gocciolatori, o delle semplici canne bucate) può andare bene:vi permetterà di risparmiare acqua e tempo ma ingombrerà il suolo. Un’alternativa può essere l’utilizzo di spruzzatori che avranno un’emissione di acqua maggiore e più uniforme oppure il semplice ma faticoso intervento manuale. Se avete intenzione di creare un impianto di qualche fila è meglio introdurre nelle file varietà con diversa precocità. In una fila varietà più precoci ma meno produttive e nell’altra varietà più lente a iniziare la produzione ma più produttive.
Il periodo migliore per mettere a dimora le piantine è l’autunno, stagione che offre condizioni meteorologiche più stabili e meno altalenanti rispetto alla primavera.
Una volta comprate le piante micorrizate bisogna inumidirle prima di estrarle dal vasetto per evitare che si stacchi della terra e per facilitare l’operazione. Il pane di terra va posto centralmente nella buca un po’ al di sotto del livello del terreno (5 cm) e successivamente va coperto con terra fino all’altezza del colletto. Mettete sempre un tutore per evitare che la pianta cresca storta ma stando leggermente distanti dal colletto per evitare di rovinare le radici.
Per avere i primi risultati dovrete aspettare dai 6 ai 10 anni a seconda della varietà che avete utilizzato per fare la simbiosi micorrizica mentre il periodo di piena raccolta si inizierà tra i 12 e i 15 anni.
Se prendiamo in considerazione le caratteristiche ambientali, i fattori che influenzano di più la crescita del tartufo sono la pioggia, il vento, la siccità e il gelo. Una buona annata di tartufi è di solito caratterizzata da frequenti piogge primaverili alternate da giornate di sole. Il vento è un nemico dei tartufi in quanto sottrae umidità al terreno e ai tartufi meno profondi. Chiaramente essendo i funghi costituiti per più del 90% da acqua, in un anno siccitoso la raccolta sarà molto magra (senza irrigazione). Anche gli animali non sono indifferenti alla bontà di questo fungo ed infatti ci sono diversi possibili predatori: cinghiali, tassi, istrici, lumache, ghiri, topi e caprioli.
La salute del fungo è strettamente collegata alla salute della pianta simbionte e quindi attacchi di processionaria, di coleotteri o di altri insetti alla pianta finiscono per ripercuotersi anche sul fungo.
Infine esistono delle piante arbustive e dei funghi che se si trovano nelle vicinanze della pianta simbionte possono contrastare la formazione del fungo. Tra le piante ricordiamo l’artemisia, la calluna, la cicuta.
Potatura delle piante simbionte
La potatura deve essere finalizzata a ricreare nel nostro impianto le condizioni ideali, più naturali possibili e quindi devo fare in modo che la chioma non diventi troppo grande e che al suolo arrivi sempre un po’ di luce.